Apro la pesante porta di legno. Senti girare
la chiave nella serratura. Il chiavistello produce un rumore assordante per te
che sei stata nel silenzio più assoluto per due giorni.
Senti i miei passi che si avvicinano. Non
puoi vedermi perché la benda nera che ti avvolge gli occhi è legata troppo
stretta. Una leggera pressione sulle tempie che si è tramutata in dolore
estenuante dopo il primo giorno.
L’odore del sudore di cui il tuo corpo è
madido mi entra dentro, regalandomi una leggera ed intensa scossa di piacere
che mi si propaga fino al cervello. Ho voglia di farti del male e tu lo sai.
Ti sto davanti. Lo avverti dall’angoscia
sottile che inizia a crescerti dentro e ti stringe il cuore in una morsa di
paura.
Avvicino le mie labbra al tuo collo.
Docilmente me lo porgi. Ti bacio a labbra aperte la pelle. Senti la mia bocca
che ti sfiora la pelle bagnata, poi ti mordo. Forte come farebbe un vampiro.
Inizi a dimenarti, ma così facendo aggiungi dolore a dolore.
Le corde che ti stringono i polsi e che sono
fissate al soffitto iniziano a torcersi e la punta dei piedi, con la quale
cerchi di reggerti in equilibrio, scivola procurandoti una fitta lancinante che
dalle braccia si propaga alle reni. Quindi decidi di stare immobile. Sai che
voglio che ti umili e finito il mio bacio di sangue con un filo di voce mi
ringrazi.
Mi piace il modo in cui il tuo corpo mi
viene offerto dalla posizione in cui sei costretta. Sembri una ballerina che
danza sulle punte. La prima volta che ti legai così eri davanti a uno specchio.
Fosti d’accordo con me nell’affermare che il tuo corpo era meraviglioso teso in
quel modo. Ma dopo la prima ora il dolore ai piedi era cresciuto, e ai crampi alle
gambe si erano aggiunti quelli alle braccia, al collo, il sangue che ti
scorreva lungo polsi…
Mugolavi all’inizio, poi cominciasti a
piangere…alla fine il suono stesso dei tuoi lamenti era diventato estraneo,
impossibile da sostenere persino per te. Ed il silenzio ti aveva avvolta con la
sua coltre protettiva.
Iniziasti un lungo dormiveglia mentre il
sudore caldo rivestiva completamente il tuo corpo.
Prendo i morsetti con i pesi che ho lasciato
sul tavolino vicino alla tua gamba destra. Ti applico il primo alla punta del
seno sinistro, tenendo però il piccolo peso sospeso tra le mani, poi ti stringo
anche l‘altro capezzolo col secondo. Anche questa volta tengo il piccolo peso
sollevato. Tu stringi i denti per il dolore, decisa a trattenere tra le labbra
anche il più leggero dei lamenti. Sorrido, anche se non puoi vedermi. Mi piace
umiliarti e rendere vani i tuoi sforzi.
Lascio all’unisono tutti e due i pesetti.
Sono appesi a due piccoli elastici che iniziano a farli oscillare e quasi
rimbalzare. I capezzoli ti si allungano a dismisura per poi tornare normali
quando l’elastico risale nel suo violento moto oscillatorio. Un urlo ti esce
dalle labbra. Inizi a piangere come la bambina che vorresti essere. Vorresti
che ti abbracciassi, che allontanassi il tuo dolore. Che ti nascondessi dalla
vergogna, dal dolore, dal piacere che colpevolmente provi in questi momenti.
Ti accarezzo le costole esposte dal lungo
digiuno cui volontariamente ti sei sottoposta e che adesso è un rimpianto. Apro
un flacone che riconosci dal rumore. Ne verso il contenuto in un cucchiaio
capiente. Te lo avvicino alla bocca che assetata spalanchi in modo osceno. Bevi
tutto il contenuto e ti passi la lingua sulle labbra. Sai che non berrai
nient’altro almeno fino a stanotte. Quando forse ti sarà concesso anche di
poter andare in bagno. Sempre davanti ai miei occhi che sai ti scruteranno
violentando la tua intimità. La prima volta che ti avvicinai il cucchiaio pieno
di sperma alla bocca quasi mi picchiasti. Ma poi è sopraggiunta la sete. E con
essa la consapevolezza della tua dipendenza da me. In tutto. Ti ho sempre
legato le braccia dietro la schiena o sulla testa come adesso. All’inizio il
disagio era enorme poi hai compreso il tuo ruolo. Hai iniziato ad abbandonarti
alle mie cure. A sentirti la bambina ancora in fasce che hai sempre desiderato
tornare ad essere. Che di nascosto, quando tu stessa non te ne rendi conto,
sogni ancora di essere.
Mi inginocchio davanti a te, il tuo sesso è
aperto. Slaccio la piccola cintura che tiene bloccato il vibratore tra le tue
labbra più rosse. È intriso dei tuoi umori nascosti. Vergognosamente grondante
di un piacere che vorresti nascondermi. L’estrazione del fallo di gomma lo vivi
come una liberazione. Finalmente senti di tornare a possedere il tuo corpo. Ma
poi l’idea che esso non ti appartenga più ritorna. Non appartieni più a te
stessa. Hai deciso di donarti. Questa è la tua vita. Questa è la vita che hai
scelto.
Ti avvicino il finto fallo alle labbra. Tu
inizi a leccarlo come sai che voglio. Lentamente, con piccoli e rapidi tocchi
della lingua. Come se fosse il mio pene a cui stai donando piacere. Come se
dalla perfezione dei movimenti della tua bocca dipendesse il tuo stesso
piacere. La tua stessa vita. Ti guardo, mi affascina come sempre osservare il
tuo amore manifestarsi. Ti amo e questo mi spaventa. È per questo che ti lascio
spesso da sola…è per questo che devo farti male. Perché la tua bellezza ne fa a
me. Perché ciò che mi fai provare risveglia il dolore che cerco di soffocare
nelle mie viscere. Il fallo ti viene allontanato dalla bocca e per pochi
istanti la tua lingua si muove nel vuoto. Senti il rumore di qualcosa che viene
lanciato contro il muro. Avverti la rabbia di chi ti sta davanti. Non vorresti
ma inizi a singhiozzare di nuovo e a tremare. Inizi ad emettere versi irritanti
dalla bocca. Sai che devi stare in silenzio mentre mi dedico alla tua
educazione. Afferro la bacchetta di bambù sul tavolino. E vado dietro di te.
Guardo soddisfatto i segni sui glutei e sui reni delle lunghe sedute di
sculacciate e frustate che ti ho regalato. Stringo la bacchetta fino a farmi
diventare le nocche bianche e poi inizio a percuoterla nell’aria. Avverti il
rumore e lo spostamento d’aria provocato dalla sottile e lunga bacchetta. Inizi
a chiederti in cosa hai sbagliato. Forse come hai offerto il collo o perché eri
troppo bagnata…domande che ti muoiono dentro quando ricevi la prima pesante
scudisciata sulle natiche.
Un urlo che non sembra neppure prodotto
dalla tua voce esce prepotente da dentro di te. I muscoli si flettono, la tua
schiena si inarca e perdi l’appoggio.
Il peso è sostenuto solo dai tuoi polsi che
iniziano di nuovo a sanguinare. Aspetti, con un’ansia che si tramuta in agonia
per la lunga attesa, il secondo colpo. Senti armeggiare sul tavolino mentre
faticosamente cerchi di riacquistare una posizione eufemisticamente più comoda.
Poi avverti la sensazione della canapa rozza che ti stringe le caviglie. Te le
stringo strette tra loro per non farti più muovere e con una cordicella te le
fisso alle ginocchia. Così non potrai più poggiare i piedi a terra e sentirai
il dolore che provo nel farti questo. Il secondo colpo è più duro. Sui reni
questa volta. La pelle già segnata si apre in un sorriso di sangue infetto. Il
terzo colpo è di nuovo sui glutei. Ti colpisco venti volte. Lentamente. Ad ogni
colpo lascio la bacchetta poggiata sulla pelle bollente. Mi diverte il
tentativo inconscio del tuo corpo di ritrarsi dal suo contatto. Ad ogni colpo
le corde che ti sostengono ti fanno girare su te stessa. I pesetti appesi ai
tuoi seni continuano ad oscillare. Le urla sono sempre più forti. Non ti rendi
conto che così mi fai più male? Mi avvolgo uno straccio attorno a due dita e te
lo infilo di forza nel sesso. Lo infilo e lo estraggo più volte, violentemente.
Appena è sufficientemente bagnato te lo infilo in gola. In profondità. Inizi ad
agitarti, la gola e la bocca sconquassati da spasmi e conati di vomito. Prendo
una fascia lunga e te la lego sulla bocca per farti trattenere lo straccio bene
in profondità. Superata la prima sensazione di soffocamento riesci ad abituare
la gola al corpo estraneo. Ti chiedi ancora cosa hai fatto per meritare questa
punizione. Poi senti la bacchetta più fina, quella che temi maggiormente
sfiorarti il viso. Un istante dopo la senti colpirti i seni con forza. Non
riesci a respirare per il dolore, vorresti urlare ma non puoi perché lo
straccio ti toglie aria preziosa. I seni stillano lacrime di sangue, i tuoi
occhi di sale. Una sensazione di torpore ti ovatta i sensi. Quasi speri di svenire…ma
chi ti ama se ne rende conto e sospende il trattamento. Per qualche istante sei
cosciente di tutto il dolore che provi e ti sembra di impazzire. Senti qualcosa
che viene trascinato nella stanza. Sembra una sedia. Ne hai la sicurezza quando
viene posta sotto le tue ginocchia. Adesso puoi poggiare il peso del tuo corpo
ed abbandonare le braccia. Una fitta di dolore te le percorre ma non puoi non
sussurrare un grazie impercettibile tra le labbra. Di nuovo la bacchetta che
fende l’aria. Una sensazione quasi di piacere si propaga dalla pianta dei piedi
e ti regala un brivido freddo che ti attraversa il corpo nella sua interezza.
Poi ti accorgi che le piante dei piedi sono un nuovo bersaglio per la mia
rabbia. Ricevi quaranta colpi violenti. Veloci e rapidi per toglierti il
respiro. Per vederti abbandonare la testa esausta sulla spalla sinistra. Ma
abbiamo solo iniziato amore mio e lo sai. Ti sfilo d’improvviso la sedia da
sotto le ginocchia. Senti le mani che quasi ti vengono strappate via dalla
spessa corda. Ti slego le caviglie e ti lascio libera di cercare di nuovo un
equilibrio che adesso ti fa più male conservare. Hai paura. Paura che possa
fermarmi.
Afferro gli altri morsetti, quelli
dentellati d’acciaio. Te li applico ad ognuna delle due grandi labbra della
vagina. Poi li fisso tra loro con un filo che ti faccio passare dietro la
schiena. Adesso hai il sesso completamente esposto. Totalmente aperto. Mi
inginocchio tra le tue gambe e ti fisso le caviglie a due ganci sul pavimento,
in modo da tenerti le cosce divaricate. Infilo la lingua tra le labbra del tuo
frutto proibito. Ed anche se non lo ritieni possibile senti una sensazione di
piacevole calore che ti sale lungo le cosce fino a farti vibrare qualcosa
dentro. Ti stuzzico con i denti il clitoride. Diviene subito turgido. Accarezzo
il tuo piccolo bottoncino di carne come se fosse un piccolo pene. Voglio farti
scoppiare di godimento. Inizi ad ansimare. I tuoi sospiri soffocati dallo
straccio sono simili ad un raglio. Provi vergogna per quel rumore assurdo che
proviene dalla tua gola. Vergogna e un imbarazzo crescente. Per la prima volta
ti senti una puttana. Per la prima volta sei felice di esserlo. Afferro la
frusta piccola. Quella che termina con sette piccole lingue di pelle. Ti
colpisco una prima volta su un fianco. Poi ti strappo via la benda e ti
estraggo il panno da dentro la bocca. L’aria entra prepotente nei tuoi polmoni.
Ti sembra di essere riemersa dopo un tempo interminabile dal fondo di una
piscina. Voglio sentire le tue urla. Voglio che mi implori perdono per ciò che
non hai fatto. Voglio che mi regali la tua anima. Ti colpisco con violenza il
sesso aperto. Una due tre volte…le lacrime ti solcano il viso, le urla quasi
non mi permettono di sentire il suono della frusta che torna a colpirti
un’infinità di volte. Urli Francesca, mi urli di smetterla, di poter respirare,
implori la mia pietà, il mio perdono per l’umiliazione che ogni volta che ti
guardo provo nel saperti libera. Mi urli di amarmi, di voler morire per me, di
voler essere colpita e frustata ancora fino ad una morte consolatrice. E
svieni. Come la sgualdrina che sei, ti abbandoni, stanca, esanime per il
trattamento che ti ho concesso. Allora decido di slegarti. Ti sostengo quando
cerchi di cadere per farmi provare una perversione che non sento di possedere.
Ma so che è un trucco. So che non soffri veramente. Ti porto nella mia stanza
da letto. Ti sdraio delicatamente sul materasso. E ti bacio. Entro con la
lingua nella tua bocca che sa di sangue, e piacere e dolore.
Lo stesso che mi doni quando riapri gli
occhi e mi fissi con quello sguardo implorante. Le mie labbra si poggiano di
nuovo sulle tue e ti chiedo come ti senti…
-Adesso bene Ilaria- sussurri ed inizi a
piangere tra le mie braccia.
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